*English below*

“Il racconto in questo luogo inizia con mio padre, negli anni 70. Avevamo un negozio alimentare, in via Manzoni. Mio padre decise di aprire un allevamento di galline, dunque compra questo terreno, chiamato “demanio delle forche”, poiché qui c’è un albero su cui venivano impiccate le persone. Terre maledette, terre benedette.

Ero un campioncino, venivo a Gravina a giocare, con le grandi squadre. Mio padre non voleva che giocassi a calcio, perché secondo lui i r'buscjhejte giocavano a pallone. Voleva che studiassi. Secondo me lui ha vissuto con un grande rimorso verso se stesso, per tutta la sua vita, il fatto di non aver studiato.

Ogni tanto diceva che i suoi amici erano diventati tutti dottori, ma lui, che era più bravo a scuola, no. E quindi voleva che studiassi, invece, il fato aveva predestinato altro. Ero bravo a giocare a calcio e con la scuola non funzionava proprio. Tant’è vero che poi mia madre mi mandò in collegio, ad Assisi.

Quando mio padre comprò questo terreno avevo 16 anni, la domenica mi portava qui a raccogliere pietre dal terreno, per costruire un muro. Qualche tempo dopo comprò l’altra metà del terreno, questa proprietà, sei tomoli. Quando finimmo di costruire questo muro, bellissimo, con degli apiari, stupendo, mio padre decise di costruire i capannoni, e servivano le pietre, da mettere sotto le costruzioni.

Distruggemmo quel muro, per riutilizzare le pietre.

Dopo tanti anni, scoprii che in realtà quel giorno, in quel periodo, mio padre mi diede la stessa lezione di Hermann Hesse in Siddharta, sulla pacienza. E comunque costruimmo questi capannoni, ci mettemmo dentro quattromila galline.

Più in là mio padre si ammala, i dottori dicono che sarebbe morto, quindi chiedono a mia madre di portarlo a casa.

Mi trovai da solo a dover tenere in piedi questo lavoro. Ero già famoso, mi conoscevano come calciatore, e con mio padre avevo già una società, in quanto a 14 anni ero rappresentante della pasta Quinto e Manfredi, di Matera.

Con la bicicletta andavo a Matera a portare gli ordini, che prendevo il lunedì dai negozi. Ero appena uscito dal collegio, parlavo in italiano, o almeno pensavo in italiano. In collegio mi avevano insegnato a dire appena appena qualche parola, perché nasco caccá (balbuziente). Imparo a parlare a 23 anni, imparo a parlare sulla calabro-lumaca, così la chiamavamo allora.

Imparo a parlare perché avevo voglia di fare comizio, m’é semb piasciut a parlé (mi è sempre piaciuto parlare), restavo incantato quando andavo ad ascoltare i comizi che facevano, sulle strade polverose, i rappresentanti dei partiti.

Come facevano queste persone a mettere tante parole una a fianco all’altra? Ma il gioco della parola lo avevo imparato anche da bambino; andavamo al cinema la domenica ed i soldi erano pochi, chi li aveva entrava, mentre gli altri aspettavano fuori, in attesa che qualcuno gli
raccontasse il film.

Il problema è che i miei amici, quando toccava a me andare a vedere il film, si mittain i mein ijnd e capidd (si mettevano le mani nei capelli) perchè dicevano “e mo Donato, come ce lo deve raccontare il film?”. Ero testardo, andavo a vedere il film e quando uscivo mi inventavo tutto, poi balbettavo, ed i miei amici sapevano che non dovevano farmi arrabbiare, che non dovevano stare lì in ansia perché più mi innervosivo e meno parlavo, e dunque mentre raccontavo, loro mi giravano le spalle, facevano finta di pensare ad altro, per darmi leggerezza. Questo mi è servito da grande, quando decisi di fare comizi sul treno, perché secondo me il treno doveva essere gratis.

Tutto il mio imparare a parlare è stata una lezione pedagogica su cosa significa dare tempo alle parole. Oggi come cantastorie ho i miei segreti. Uno dei segreti è che non penso a quello che dico ma penso al suono che esce dalla mia bocca. Questo suono mi permette di essere armonico, musicale con il luogo e con le persone. É una bella scuola.

Ma ritornando al racconto del posto, mio padre si ammala e va a Torino, e per miracolo non muore più. Già avevo clienti in quanto, quando mio padre mi fece fare il rappresentante per la pasta,con la mia torpedo, una bicicletta femminile, andavo a Matera, e facendo il giro dei negozi ogni volta, ero conosciuto da tutti. Siccome ero balbuziente, sillabavo un po’, e dunque la mia prima poesia è stata zitoni e ziti mezzani regine e perciatelli, i nomi delle paste.

Imparai a memoria tutte le qualità di pasta. Quando mettemmo in piedi questa attività, vendere uova era un gioco, poiché appunto i clienti ce li avevo già. Quando la gente mi vedeva diceva “Donato, Donato, Donato”, portavo le uova, ottomila uova al giorno. Anni bellissimi.

lo fatto che abbia cominciato a fare comizi sui treni, per non pagare il biglietto, piano piano mi ha fatto avvicinare al movimento comunista-anarchico di Bari. Divenni un militante.

Giravo per l’Italia, per la Puglia, per mettere in piedi un partito politico. Da essere caccá, mi ritrovai a fare comizi. E mi ritrovai con questa attività che andava benissimo. Se non che un po’ il 77, un po’ il tradimento del sindacato, della triplice, un po’ la nostra consapevolezza come sezione anarchica, poiché gli anarchici individualisti ce li avevamo tutti contro in italia, non riuscimmo a realizzare questo partito.

Fatto sta, che in Italia, in quegli anni arrivò tanta droga. Scrissi un articolo contro l’eroina, contro le droghe pesanti che ancora oggi possiamo leggere.

E poi mi ritrovai tossico, da un giorno all’altro. Cominciai ad abbandonare tutto, anche questo luogo. Questa intervista viene come a battezzare un addio, un saluto. Mi rendo conto che vi sto raccontando questa storia senza emozionarmi, invece dovrei emozionarmi, perché sono proprio nel luogo dove è stato distrutto tutto.

Oggi non dico più droga, ma dico dipendenza, poiché dipendenza può essere qualsiasi cosa, dipendenza dal cibo, da una sigaretta, dall’alcol, o da un rapporto. Ti devi allontanare, per vederti meglio, per diventare neutro, come dice Fernando Pessoa, per essere spettatore di te stesso.

Andai a Venezia, per uscire dalla dipendenza, e mio nonno, la buonanima, pace all’anima sua, un grande maestro, per non farmi trovare la campagna sporca veniva qui a pulirla. Se non che, quando partii, lasciai la canna fumaria della mia stanza non chiusa bene, e quando mio nonno accese il fuoco, una lamella di fuoco entrò nella  stanza, fatta in legno, e si bruciò la stanza, si bruciò tutto il mio passato.

Quando tornai da Venezia, per il matrimonio di mia sorella Teresa, con le mie capatine a Gravina, allora punto di rifornimento, partecipai al matrimonio con questo dolore della perdita. Quando aprii questa porta, c’era solo cenere ed il letto in ferro battuto su cui un mio amico morí di overdose; quasi tutti i miei di allora compagni, amici, sono morti di overdose.

Negli anni 70 c’è stata una grande carneficina, terribile. I particolari non li spiego. All'epoca la droga era molto costosa, adesso è anche peggio perché è più facile reperirla. Scrissi su Insieme Contro, ho queste testimonianze, che l’eroina in Italia è arrivata con l’esercito americano, a Verona.

Le droghe pesanti sono arrivate sempre attraverso gli americani, perché servivano per sedare il dolore dei soldati, servivano a fare carneficine, l’eroina ti seda. Non ti fa soffrire. È una bruttissima droga perché ti fa quest’effetto soltanto la prima settimana, quando diventi tossico sei fregato perché devi usare quella sostanza soltanto per essere una persona normale.

Non hai più flash, negli anni 70 c’era questo mito, che attraverso le droghe acquisivi una coscienza del tuo corpo, i trip, pericolosissimo, perché questa cultura poi ha portato allo disfacimento di un movimento stupendo come quello del 68, e come quello del 77.

Nel 77, c’è stato questo grande attacco e abbiamo fatto una bruttissima fine, siamo stati sconfitti politicamente dal sindacato che ha tradito la classe operaia, in cambio di grandi palazzi. Nato per difendere gli operai, inizia a difendere il grande capitale nel 77, subito dopo il 77 inizia a difendere se stesso. Si perde il senso del significato stesso.

Nonostante lo strazio del dolore per il disfacimento del movimento partecipai alla seconda et terza ripartenza di Radio Murgia con un programma radiofonico notturno dal titolo emblematico Narghilè.

La formazione politica mi ha permesso di fare un viaggio all’interno delle droghe e di avere questa fortuna di uscirne vivo, perché chi tocca i fili muore. Il messaggio è chiaro,dalle droghe pesanti nessuno si salva, devi morire e se poi hai la fortuna di rinascere a nuova vita, buon per te.

Adesso col senno del dopo capisco di aver sbagliato tutto perchè se proprio dobbiamo drogarci è meglio farlo da vecchi et non da giovani.

Questa formazione politica fece sì che quando stavo a Venezia ogni tanto scendevo per ricominciare. Le suore del Monastero del Soccorso mi amavano, perché gli portavo le uova, volevano regalarmi un locale, ed invece come un coglione ne presi un altro in affitto, per dimostrare che non ne avevo bisogno.

Perché poi si diventa anche orgogliosi, preferivo pagare l’affitto invece di avere un locale gratis. Fui sconfitto, mi ritrovai con una siringa in mano nel primo locale di Arco Sant’Andrea. Mia madre poverina soffriva, sapeva tutto, mia sorella anche. Tutta la mia famiglia sapeva. Non ho avuto vergogna a dire a tutti che volevo uscirne, a dire che sto male.

Inizialmente andai all’ospedale Umberto I di Altamura, ma ahimè trovai una dottoressa che non mi trattò bene, peccato. Persi una grande occasione, potevo uscirmene subito. Tutte le volte che scompariva la droga, si cercava un altro mercato, in questo modo non conosci cosa vai a comprare e la puoi trovare tagliata, e le persone muoiono perché non conoscono il materiale che stanno comprando.

Se fosse legale, basterebbe andare in farmacia, comprare quella dose, e non trovare morte e poi hai tutto il tempo per pensare a come disintossicarti. La morte non ha mai ucciso nessuno; è la vita che ci ammazza. In quegli anni succedeva che ogni tanto mancava il prodotto e quindi usavamo pillole terribili, tipo i Tavor. Con i Tavor ci sono stati tanti omicidi, ne conosco tanti, magari loro neanche si ricordano. Il Tavor interagisce con la memoria.

Un giorno venne un ragazzo a casa e a mia madre “Donato  m’é tambonete la machene e se n’è giute”, (Donato mi ha tamponato la macchina e se nè andato). Non mi ricordavo niente. Così come omicidi terribili che sono accaduti ad Altamura, e Gravina anche, in cui gente ha ucciso, e non ricorda niente, ma non ricorda averamende nulla.

Le persone più si allontanano da se stesse più stanno male, non parliamo più di droghe ma disagi. In quel periodo scendevo ad Altamura anche per provare a mettere in piedi il mio piccolo negozio di artigianato, costruivo rondini, gabbiani in legno, piccole cose. E ogni volta che scendevo vedevo giovani che andavano a comprare questo materiale, e qualcuno la deve servire, se lo stato, nostro nonno, si rende disponibile e si accorge che c’è questa richiesta, lo rende disponibile. Elimini delinquenza, dai anche valore alle cose.

I sold uadagnete facele perdono valore anche, è un disagio forte. Questo delle droghe è un grande problema sociale, con una soluzione facile, come tutti i problemi che la nazione deve affrontare.

La politica mi ha dato l’ancora, l’ancora nel simbolismo della scienza sacra rappresenta la fede, quindi sono sempre stato un uomo di fede, che non significa credere in Dio, significa legare, unire. Quando giocavo a calcio ero un centrocampista di attacco, penso di essere rimasto un centrocampista di attacco anche in questa partita molto più complicata, che è la partita delle relazioni.

Quando hai una dipendenza, non ti devi aspettare mai niente dalle persone. Non è facile, assolutamente, ci creiamo tante aspettative. Devi riprendere a dare valore a tutto quello per cui hai tradito. I soldi per una persona tossica non hanno nessun valore, che tu abbia 300 mila lire in tasca ma non abbia la roba, é come ca nà tinne sold. Quindi perdi il valore del denaro. Riuscire a rinascere da una dipendenza significa iniziare a dare valore. Oggi conosco tantissime persone che senza essersi mai drogate sono tossiche hanno tutti i sintomi delle dipendenze. Non danno realtà.

Ricordo un’anno, ho conosciuto una persona importantissima nella mia vita a Venezia, Gabriella. Mi ha aiutato e sopportato. Mi ha dato la forza di iniziare un viaggio difficilissimo.

Capii che dovevo conquistarmi queste cose, andai a vendere tubolari, per guadagnare una cifra che per me non era niente, 30 mila lire, per un tossico che ne spendeva 300 per un grammo. Era importante cominciare a lavorare e a chiederti cosa stai facendo, quanto guadagnerai ? Questo rapporto con le domande e le risposte era come una rinascita, essere capace di sentire il tuo cervello sedato. La morte di una persona sta nella sedazione.

I nostri paesi si sono intristiti senza i matti. In un libro di Saul Bellow che ho letto quando mi drogavo c’è una frase che dice “c’è sempre un posto che ti porta da nessun posto a nessun posto e cen'è sempre una che ti permette di arrivare prima”, tu non sai mai qual è la strada che ti aiuterà. Finché non ti abbandoni. “In un epoca di follia, immaginare di essere immuni dalla follia è una forma di follia”.

Negli anni 70, i matti nelle strade dei nostri paesi iern personagg, iern bell, faciain rid e cristien, erano interessanti. Poi andavano a finire nei manicomi e soffrivano, ma non venivano sedati. Invece adesso ce li abbiamo affianco, non ci sono più le stanze dei manicomi, le mura, ma c’è il nostro corpo, la loro prigione. Ne conosco molti di amici che usano psicofarmaci, e sono sedati.

Ho vissuto 10 anni a Perugia, la mia fuga dalla dipendenza é stata lunga. Perugia è stata la città che mi ha abbracciato, mi ha accettato come cantastorie. Con fortuna.

Inizialmente venivo cacciato, poiché dovevo lavorare in strada per guadagnare quattro soldi. Non è facile smettere con una droga pesante.

In un piccolo Bar di un paesino del Veneto mi ritrovai ad ascoltare il discorso d’insediamento del primo governo Craxi, ed è strano di come mi ricordi questa cosa in quanto ero un bambino che si disintossicava, uno che usa droghe non dovrebbe avere memoria. Invece io ho avuto questo dono, ricordo la mia lucidità nell’ascoltare il discorso.

Il mio cervello era vergine, stava incominciando a sentire le voci perché quando ti droghi non ascolti più, nan sind nudd, invece stavo ritornando alla vita come un fiore.

Mentre vendevo questi tubolari, un giorno entrai in un palazzo e vidi questa ragazza bellissima, capelli neri, una bambina stupenda a piedi nudi. Appena la vidi, capii, era fatta. La seguii, lei mi disse che suo marito mi voleva parlare.

Entrai, una casa stupenda, c’era un grande tavolo, casa di ricchi. Un grande piatto d’argento al centro, pieno di bianca, ed un uomo con una bella voce, poiché quando usi materiale buono le persone non se ne accorgono ma assumi fascino. Diabolico il gioco. Lui mi fece comprendere che potevo servirmi.

Cominciai a parlare, non ricordo cosa dissi, ma creai un muro tra di noi. Mi avvicinai ad una grande finestra, chi spadd mbacc a chessa fenestr con il sole del tramonto dietro, gli parlai,gli parlai e gli parlai e piano piano uscii da quella casa.

Dopo quel giorno restai non so quanto tempo chiuso in casa.

Un giorno Gabriella mi disse “Donato, vado al sud italia, vuoi venire?”; sentivo che non dovevo partire perché dovevo lavorare con me stesso, dissi no al mio amore, ci amavamo.

Restai, restai per andare a lavare i piatti. Davvero a dire cioc ste fe? Da ce ore fatic? De ott e dodc, de tre a mezzanott. Quande uadagne? Trenda mila lir, hai capito? E mi piaceva. Prendevo il treno da Mestre e andavo a Campo Santa Maria, vicino al teatro La Fenice.

Gabriella stava qui, venne ad Altamura senza di me a vedere la mia città. Ed io niente, mi svegliavo a prima mattina e andavo a Mestre, lavorai quasi tre mesi li. Una sera, in piena estate, mangiavamo gli avanzi con gli altri camerieri, e notai dal tono di voce di uno dei camerieri, si chiamava Paolo, che fosse fatto. Come tutte le sere, mi invitò a salire a casa sua e, mentre ogni sera rifiutavo e tornavo a Mestre, quella sera dissi di si. Salii a casa sua, la scusa di farci una canna, dissi a Paolo: “ ijss la robb!” . E ricominciai. Ero rimasto lì per uscirmene, allontanandomi dal mio amore ed invece mi autodistrussi.

Il giorno del mio compleanno mi accorsi che non aveva senso stare a Venezia, guadagnare soldi per ricominciare a drogarmi. Il 7 ottobre, mi misi in treno e decisi di andare a Parma, da alcuni amici, che si erano offerti di aiutarmi.

C’erano tre ragazze in treno che andavano a Firenze, decisero di venire con me perché capirono che non stavo bene. Mi accompagnarono a Parma.

Arrivato in stazione, vidi arrivare i miei amici, e mi resi conto che anche loro erano fatti. Gli dissi subito: “ uagnu nan é caus”.

E andai via.

Tornai in stazione e decisi di andare ad Assisi, non avevo il biglietto e presi una multa, pagata da mia madre. Mia madre mi ha pagato tutte le multe, si è svenata per me ha creduto in me ha pregato per me. Arrivai a Santa Maria degli Angeli e tornai al collegio che avevo frequentato da ragazzo, portando un libro, Narciso e Boccadoro, di Hermanne Hesse che regalai al rettore.

Era la nostra storia, perché quando ero in collegio volevo farmi frate in quanto d’accordo con la povertà e con l’obbedienza, ma non con la castità. E ci avevo indovinato, perché il sesso con la castità non ha niente a che fare, essere casto per San Francesco significava essere ligio ai doveri, alle regole, non al sesso.

L’unica sicurezza che noi abbiamo è quella di morire. Un tempo costruivano tombe di una bellezza unica. Veniamo da quella cultura.

Oggi mi ritrovo in questo luogo con una serenità d’animo, grazie alla vita che mi ha fatto incontrare compagni, amici e persone. La vita ci insegna ad essere erranti, a disposizione del vento.”

“The story here begins with my father, in the 1970s. We had a grocery shop, in Via Manzoni. My father decided to open a chicken farm, so he bought this land, called 'demanio delle forche', because here there is a tree on which people used to be hanged. Cursed land, blessed land.

I was a little champion, I used to come to Gravina to play, with the big teams. My father didn't want me to play football. He wanted me to study. In my opinion he lived with great remorse towards himself, all his life, for not having studied.

Every now and then he would say that his friends had all become doctors, but him, who was better at school, had not. So he wanted me to study, instead, fate had predestined something else. I was good at football and it just didn't work with school. So much so that my mother sent me to boarding school, in Assisi.

When my father bought this land I was 16, on Sundays he would bring me here to pick stones from the ground, to build a wall. Some time later he bought the other half of the land, this property. When we finished building this wall, beautiful, with apiaries, my father decided to build the sheds, and we needed the stones, to put under the buildings.

We destroyed that wall, to reuse the stones.

Many years later, I discovered that actually on that day, my father gave me the same lesson as Hermann Hesse in Siddhartha, about peace. And anyway we built these sheds, we put four thousand chickens in them.

Later my father got sick, the doctors said he would die, so they asked my mother to take him home.

I found myself alone having to keep this business going. I was already famous, they knew me as a footballer, and with my father I already had a company, because at 14 I was a representative of Quinto and Manfredi pasta, from Matera.

I used to go to Matera on my bicycle to bring orders, which I took on Mondays from the shops. I had just come out of boarding school, I spoke in Italian, or at least I thought in Italian. At boarding school they had taught me to say just a few words, because I was born stuttering. I learnt to speak at 23, I learnt to speak on the trains.

I learnt to speak because I felt like speaking, I was enchanted when I went to listen to the rallies that party representatives gave on the dusty streets.

How did these people manage to put so many words next to each other?

My whole learning to speak has been a pedagogical lesson on what it means to give time to words. Today as a storyteller I have my secrets. One of the secrets is that I do not think about what I say but I think about the sound that comes out of my mouth. This sound allows me to be harmonious, musical with the place and the people. It is a good school.

The fact that I started holding rallies on trains, so as not to pay the ticket, slowly brought me closer to the communist-anarchist movement in Bari. I became a militant.

I travelled around Italy, around Puglia, to set up a political party. From being a stutter, I found myself doing rallies. And I found myself with this activity that was going very well. Except that a bit the year '77, a bit the betrayal of the trade union, of the triplice, a bit our awareness as an anarchist section, since the individualist anarchists we had them all against us in Italy, we did not succeed in setting up this party.

The fact is, a lot of drugs arrived in Italy in those years. I wrote an article against heroin, against the hard drugs that we can still read today.

And then I found myself a junkie, from one day to the next. I started to abandon everything, even this place. This interview comes as a farewell, a goodbye. I realise that I am telling you this story without getting emotional, instead I should get emotional, because I am in the very place where everything was destroyed.

Today I no longer say drugs, but I say addiction, because addiction can be anything, addiction to food, to a cigarette, to alcohol, or to a relationship. You have to get away, to see yourself better, to become neutral, as Fernando Pessoa says, to be a spectator of yourself.

I went to Venice, to get out of addiction, and my grandfather, the good soul, peace be upon him, a great teacher, so that I wouldn't find the countryside dirty, came here to clean it. Except that, when I left, I left the chimney of my room not closed properly, and when my grandfather lit the fire, a blade of fire entered the room, made of wood, and it burnt the room, it burnt my whole past.

When I opened this door, there was only ashes and the wrought iron bed on which a friend of mine died of an overdose; almost all my then comrades, friends, died of overdoses.

In the 1970s there was a great carnage, terrible. I won't explain the details. At the time drugs were very expensive, now it is even worse because it is easier to get them.

Hard drugs always came through the Americans, because they were used to sedate the pain of the soldiers, they were used to do carnage, heroin sedates you. It doesn't make you suffer. It's a very bad drug because it only does that to you the first week, when you become a junkie you're screwed because you only have to use that substance to be a normal person.

You no longer have flashes, in the 70's there was this myth, that through drugs you acquired a consciousness of your body, the trips, very dangerous, because this culture then led to the unravelling of a wonderful movement like that of 68, and like that of 77.

My political training allowed me to take a journey into drugs and have the good fortune to come out alive, because whoever touches the strings dies. The message is clear, from hard drugs no one is saved, you have to die and if you are lucky enough to be born again, good for you.

Now with the benefit of hindsight I realise that I did it all wrong, because if we have to do drugs it is better to do them when we are old and not young.

This political background meant that when I was in Venice I came down every now and then to start again.

I was defeated, I found myself with a syringe in my hand in the first club in Arco Sant'Andrea. My poor mother suffered, she knew everything, my sister also. My whole family knew. I wasn't ashamed to tell everyone I wanted out, to say I was sick.

At first I went to the Umberto I hospital in Altamura, but alas, I found a doctor who did not treat me well, too bad. I missed a great opportunity, I could have gotten out right away.

Death has never killed anyone; it is life that kills us. In those years it happened that every now and then there was a lack of product (drugs) and so we used terrible pills, like Tavor. With Tavor there were so many murders, I know so many, maybe they don't even remember. Tavor interacts with memory.

I saw young people going to buy this material, and someone has to serve it, if the state, our grandfather, becomes available and realises there is this demand, he makes it available. You eliminate delinquency, you also give value to things.

Money also loses value, it is a strong discomfort. This drug problem is a big social problem, with an easy solution, like all the problems facing the nation.

When you have an addiction, you should never expect anything from people. It's not easy, absolutely, we create so many expectations. You have to value again everything you have betrayed for. Money for an addict has no value, whether you have 300,000 lire in your pocket but you don't have the stuff. To be able to be reborn from an addiction means to start giving value. Today I know so many people who, without ever having done drugs, are addicts have all the symptoms of addiction.

I remember one year, I met a very important person in my life in Venice, Gabriella. She helped me and put up with me. She gave me the strength to start a very difficult journey.

I understood that I had to conquer these things, I went to sell tubulars, to earn a sum that for me was nothing, 30 thousand lire, for a junkie who spent 300 for a gram. It was important to start working and asking yourself what are you doing, how much will you earn? This relationship with questions and answers was like a rebirth, being able to feel your brain sedated. The death of a person lies in the sedation.

I lived 10 years in Perugia, my escape from addiction was long. Perugia was the city that embraced me, accepted me as a storyteller. With luck.

My brain was a virgin, it was starting to hear voices because when you do drugs you don't listen anymore, instead I was coming back to life like a flower.

While I was selling these tubes, one day I walked into a building and saw this beautiful girl, black hair, barefoot. As soon as I saw her, I knew it, she was high. I followed her, she told me her husband wanted to talk to me.

I entered, a beautiful house, there was a big table, rich people's house. A big silver platter in the middle, full of coke, and a man with a beautiful voice, because when you use good material people don't notice but you take on charm. Diabolical the game. He made me realise that I could help myself.

I started talking, I don't remember what I said, but I created a wall between us. I approached a large window, with the setting sun behind it, I talked to him and talked to him and slowly got out of that house.

After that day I remained I don't know how long locked in the house.

One day Gabriella said to me "Donato, I'm going to southern Italy, do you want to come?"; I felt I should not leave because I had to work with myself, I said no to my love, we loved each other.

I stayed to work, washing dishes. And I liked it. I used to take the train from Mestre and go to Campo Santa Maria, near La Fenice theatre.

Gabriella was staying in Puglia, she came to Altamura without me to see my city. And I would wake up early in the morning and go to Mestre, I worked there for almost three months. One evening, in the middle of summer, we were eating leftovers with the other waiters, and I noticed from the tone of voice of one of the waiters, his name was Paolo, that he was high. Like every night, he invited me up to his house, and while every night I refused and went back to Mestre, that night I said yes. I went up to his house, with the excuse of having a joint, I said to Paolo: "give it to me" . And I started again. I had been there to get out, away from my love, but instead I self-destructed.

On my birthday I realised that there was no point in staying in Venice, earning money to start taking drugs again. On October 7, I got on the train and decided to go to Parma, to some friends who had offered to help me.

There were three girls on the train going to Florence, they decided to come with me because they realised I was not well. They accompanied me to Parma.

When I arrived at the station, I saw my friends arrive, and I realised that they too were stoned. I immediately told them to get away from me.

And I left.

I went back to the station and decided to go to Assisi, I didn't have a ticket and I got a fine, paid by my mother. My mother paid all the fines, she went out of her way for me, she believed in me, she prayed for me. I arrived at Santa Maria degli Angeli and returned to the college I had attended as a boy, carrying a book, Narcissus and Boccadore, by Hermanne Hesse, which I gave to the rector.

It was our story, because when I was at boarding school I wanted to become a monk because I agreed with poverty and obedience, but not with chastity. And I had guessed right, because sex with chastity has nothing to do, being chaste for St Francis meant being obedient to duties, to rules, not to sex.

The only security we have is to die. They used to build tombs of unique beauty. We come from that culture.

Today I find myself in this place with a serenity of soul, thanks to life that has made me meet companions, friends and people. Life teaches us to be wanderers, available to the wind.”